“Misericordia o castigo”: scuola, Promessi Sposi e ricordi di lettura [1].

Cara Natalia, spero tanto d'essere stato io il professore che ti ha fatto amare il coro dell'Adelchi, la Morte di Ermengarda e le ultime strofe della Pentecoste, e non quello che ti ha fatto trovare I promessi sposi un libro spento, venerabile, statuario, sepolcrale, immerso nella notte dei secoli

 

 I Promessi Sposi, come noto sono un pilastro della letteratura scolastica italiana.

L’opera ha cominciato la sua ascesa come libro per insegnare la lingua italiana alle giovani generazioni a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento quando fece ingresso nelle antologie e nelle grammatiche scolastiche, divenendo ufficialmente lettura scolastica nel decennio successivo con i programmi ministeriali del 1888.

La scelta ribadita in forme più o meno attenuate  pressoché da tutti i ministri dell’istruzione dei vari governi  italiani ha ottenuto però  risultati contradditori: da un lato oltre a facilitare la diffusione della lingua unitaria ha garantito popolarità all’opera che è diventata un romanzo del quale tutti hanno sentito parlare, dall’altro la sua associazione alle coercizioni scolastiche ha spesso generato  una diffusa insofferenza, che ha finito per impedirne una lettura integrale o una rilettura negli anni successivi. Un altro effetto negativo dello stretto legame tra Promessi sposi e scuola è dovuto al fatto che l’elezione a modello di lingua italiana e di stile ne ha narcotizzato la straordinaria capacità eversiva, la radicale contestazione del potere.  Un elemento reso ancora più incisivo dal fatto che spesso il romanzo viene letto ripetutamente nei vari ordini scolastici come manuale su cui vengono fatti riassunti, esercizi, temi, analisi grammaticali, schede di comprensione e di verifica.

Una conferma di questa consuetudine arriva dallo scambio pubblicato su “La Stampa” negli anni ‘80 tra Natalia Ginzburg, autrice tra l’altro di un ritratto molto intimo del Manzoni[2], e il suo docente di scuola superiore:

Non so se I promessi sposi, oggi, venga letto nelle scuole e come. So che quando lo fecero leggere a me, a scuola, tanto tempo fa, trovarono il modo di sciuparmelo, e a questo romanzo stupendo e semplice io non mi avvicinai più per anni e anni. Esso veniva allora presentato in maniera ufficiale, funeraria e cerimoniosa. Era accompagnato da commenti che ne vantavano la qualità solenne e sublime. Ogni pagina, ogni frase era costellata di decorazioni, di insegne, di medaglie, e pareva di dovervisi accostare in punta di piedi e a testa bassa. Era come essere chiamati a visitare una salma illustre[3]. Le strade per arrivare a un libro sono strane e tante; io mi sono messa a rileggere I promessi sposi avendo casualmente letto alcuni volumi di lettere, di Manzoni e di suoi famigliari e amici. L'immagine di Manzoni mi apparve, sul primo momento, enigmatica; tuttavia mi venne il desiderio di osservarla un poco […] più da vicino. Mi sembrò di capire quanto c'era nei Promessi sposi di autobiografico: e quanto egli doveva rassomigliare a tutti i suoi personaggi; al padre Cristoforo, a Don Abbondio, all'Innominato anche a Don Rodrigo. Da idiota: perché avevo lasciato che me li sciupassero. Non voglio dire che il fatto che un'opera sia autobiografica debba renderla necessariamente, ai nostri occhi, più amabile o più chiara. Però allora, apprendere che dietro a un'opera c'erano cose vere, vera codardia, veri sensi di colpa, vera conoscenza del male e vera grandezza, mi avrebbe incuriosito e commosso. Se a scuola mi avessero detto quanto c'era di autobiografico là dentro, se mi avessero detto qualche semplice cosa chiara sulla vita di Manzoni, le due mogli, i figli morti, le malattie, i viaggi e le discordie, e se mi avessero consentito di leggere I promessi sposi tutto difilato e senza celebrarne a ogni passo la solenne maestà dello stile, io I promessi sposi e Manzoni li avrei capiti un po' prima.

(Natalia Ginzburg, “La Stampa”, Anno 116- Numero 8- Domenica 10 Gennaio 1982)

Lettera su Manzoni ad un'antica scolara

Cara Natalia, spero tanto d'essere stato io il professore che ti ha fatto amare il coro dell'Adelchi, la Morte di Ermengarda e le ultime strofe della Pentecoste, e non quello che ti ha fatto trovare I promessi sposi un «libro spento, venerabile, statuario, sepolcrale, immerso nella notte dei secoli» (La Stampa, 10 gennaio, pag. 3). Però bada che il libro è grande mica tanto perché tutti i suoi personaggi rassomiglino a Manzoni, ma perché tutti, da padre Cristoforo, a Don Abbondio, da Don Rodrigo all'Innominato, da quello stupido onesto di Renzo a quella pudibonda Lucia, dal Conte zio al dottor Azzeccagarbugli, dai bravi alla Monaca di Monza, somigliano a noi. Anzi, più esattamente: sono noi. Con tanti saluti affettuosi dal tuo vecchio professore (supplente) d'italiano Massimo Mila. (Massimo Mila risponde alla Ginzburg, “La Stampa”, Mercoledì 13 Gennaio 1982).

Anche Andrea Camilleri, confessa in una lettera indirizzata a Manzoni che ha dovuto aspettare i trent’anni per capire I Promessi Sposi e per scoprire “uno scrittore vivo, coinvolgente, ironico, spietato a volte”, per niente simile all’ immagine scolastica “del melenso moralista frequentatore di sacrestie”. “La colpa”, aggiunge Camilleri, “non è del Manzoni,” ma della lettura penitenziale e penitenziaria, che ne veniva fatta” a scuola:

Ieri una breve nota ha diffuso alla stampa la notizia che nel liceo classico di Ispica (provincia di Ragusa, Sicilia), su proposta di un insegnante d'italiano, il professor Lauretta, la stragrande maggioranza dei docenti ha deciso di sostituire, quale libro di testo, al tuo I promessi sposi il mio «Birraio di Preston». Immagino quello che stai pensando: che si tratta cioè di una rivalsa dei terroni contro i lumbard ai quali tu malauguratamente appartieni (la polemica ti sarà certamente nota). Purtroppo la questione non è politica, ma squisitamente didattica. Senti come si esprime il Preside dell'Istituto, Attilio Sigona: «Abbiamo ritenuto che l'approccio degli alunni con il romanzo manzoniano finisce con il determinare una ripulsa successiva verso la letteratura». Beh, se devo essere sincero, a me, dopo che al liceo m'ebbero fatto studiare alcuni capitoli del tuo romanzetto (il diminutivo è del tuo amico Giusti), passò del tutto la voglia di leggerti oltre (non passò, grazie a Dio, la voglia di incontrare altri autori). Ripresi in mano il tuo libro, come dire, da libero cittadino, a trent'anni compiuti, e rimasi esterrefatto. Questo scrittore vivo, coinvolgente, ironico, spietato a volte, non combaciava per niente con l'immagine scolastica del melenso moralista frequentatore di sacrestie che m'avevano fatto conoscere a scuola[4].

Altrettanto eloquente è il ricordo di Umberto Eco:

Molti pensano che I promessi sposi sia noioso perché sono stati obbligati a leggerlo a scuola verso in quattordici anni, e tutte le cose che facciamo perché siamo obbligati sono delle gran rotture di scatole. Io questa storia ve l’ho raccontata perché mio papà mi aveva regalato il libro prima, e così me lo ero letto con lo stesso piacere con cui leggevo i miei romanzi d’avventure. Certo, era più impegnativo, certe descrizioni sono un poco lunghe e si incomincia a gustarle dopo averle lette due o tre volte, ma vi assicuro che il libro è appassionante. Non so se oggi a scuola lo fanno ancora leggere; se avrete la fortuna di non doverlo studiare, quando sarete grandi provate a leggerlo per conto vostro. Ne vale la pena[5].

Suggestioni che possono essere rintracciate anche in alcune delle mie interviste che testimoniano quanto sia importante il ruolo del docente nel proporre strategie didattiche capaci di avvicinare i giovani al piacere della lettura e di rendere piacevole un’opera come quella de   I Promessi Sposi.

Donatella, 1978

Alle scuole superiori poi ho avuto la fortuna di incontrare insegnanti di lettere "illuminati", capaci di trasmettermi l'amore per la letteratura. I promessi sposi ad esempio li ho vissuti come una lettura piacevole e necessaria, il professore ci leggeva in classe brani del testo con tale passione e trasporto da farmi partecipe di quel mondo; mi sentivo un po' Renzo, un po' Lucia, alle volte l'Innominato, quei personaggi non erano più inventati ma vivi, parte di me e della mia esistenza. Leggerlo era ogni giorno una esigenza, il desiderio di entrare dentro a quelle esistenze e a quell'epoca.

Per quanto riguarda i libri "obbligatori" non ho avuto problemi a leggerli, forse perché i testi che mi erano stati assegnati non erano troppo complessi o semplicemente perché in ognuno di essi trovavo qualcosa di nuovo, un luogo nel quale vivere per qualche giorno, uscendo dalla mia monotona quotidianità

Agnese, 1984

Bene, delle superiori ricordi ne hai? I famosi Promessi Sposi……

Si alle superiori ho avuto tre prof diverse la prima del biennio era politicamente impegnata, una donna sola, non spostata, che temevi.

Nel triennio ho avuto un'altra prof. che ci fece amare i Promessi sposi, io al di là delle storie e dei libri ho un bellissimo ricordo di come ce li spiegava, era affascinante, ricordo i suoi appunti che forse risalivano ai suoi anni di università, non so se lei studiava a casa per poi ridirci tutto, ma ho un bel ricordo, era una persona molto capace, letture che magari non avrei fatto ma ricordo il suo metodo…

L’estate a leggere Dostoevskij?

Uno dei ricordi più belli, Delitto e castigo.

Jessica, 1974

Ricordo al biennio delle scuole superiori la professoressa con I promessi sposi, un ricordo non molto bello, forse non piacevano neanche a lei, avevamo questa sensazione, “non li leggeremo mai più questi Promessi sposi si commentava. Dipende da chi ti li racconta, io da sola ho letto altri libri impegnativi come L’Agnese va a morire, sai libri che leggi da sola anche nel periodo estivo, La lettera scarlatta, l’Ivanhoe.

Claudio, 1981

A scuola ti hanno fatto odiare mai un libro, ti hanno imposto letture?

Odiato no, per quanto riguarda le letture obbligate a lezione come I Promessi Sposi o anche La Divina commedia mi sembrava piuttosto di violentare quei testi, leggendoli cosi, cioè si leggeva un pezzettino poi si analizzava, poi c’era quello che faceva la battuta, mi sembrava di mettere il libro su un tavolo operatorio e poi si tagliuzzava. Ed erano libri molto belli. “I promessi sposi” per esempio mi sono piaciuti molto, cosa che magari all’epoca forse non si poteva dire perché si rischiava il linciaggio dei compagni di classe, però sì “I promessi sposi” mi sono piaciuti e li ho riletti poi qualche anno dopo con più piacere, anche perché nel fare una lettura più continuativa o quasi godi sicuramente di più. Libri Odiati no…devo dire di no

Si tratta di alcuni dei ricordi che sono stati letti e commentati martedì 9 febbraio 2021 durante il webinar - "Misericordia o castigo"? I promessi sposi tra scuola e ricordi di lettura. Il webinar si è svolto online su piattaforma Zoom a causa della pandemia e ha avuto la durata di circa un’ora e mezzo durante la quale abbiamo parlato anche della fortuna del romanzo manzoniano durante la Resistenza (vedi l’articolo su questo sito Leggere per Resistere. Leone Ginzburg ed Emilio Sereni, lettori in tempo di guerra

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[1]   Il titolo dell’articolo prende spunto ironicamente dalla frase che Fra Cristoforo rivolge a Renzo durante l’incontro con Don Rodrigo nel Lazzaretto ripresa anche nell’articolo di Patrizia Truffa, Misericordia o castigo? La lettura dei Promessi sposi a scuola, in Rivista di studi manzoniani, I, 2017, pp.  115-129.

[2] G. Palazzolo, Il nostro più grande romanzo del ’900. Scrittori sulle tracce di Alessandro Manzoni, in Sinestesie XVII (2019), 3, pp. 351-361.

[3]  N. Ginzburg, La famiglia Manzoni, Einaudi, Torino, 1983

[4] Andrea Camilleri su “l'Unità” (5 Agosto 2002). “Ho iniziato a considerare il Manzoni come un autore contemporaneo, dopo la lettura de La colonna infame, quello scritto me ne ha fatto cogliere la grandezza, ma questo è avvenuto in età adulta. Da ragazzo, non lo nascondo, non sopportavo l'autore de I promessi sposi. La lettura che ci veniva propinata a scuola lo rendeva odioso, noioso. Il Manzoni appariva come un baciapile, la critica letteraria ne ha costruito per decenni e decenni una immagine stereotipata, agiografica, rasserenante e pedagogica. Insomma, Manzoni veniva presentato come un secchione. Uno che in vita sua non ha mai sorriso. A quel punto persino Leopardi, che se ne stava ad osservare la luna, mi era più simpatico”.

[5] Umberto Eco, intervistato da Michele Fazioli di RSI-Radio Svizzera Italiana, RSI Radiotelevisione svizzera (ultima consultazione 30 settembre 2020)